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Life

Federico Tonioni: "C’è un legame tra pandemia e suicidi. Il problema non sono le challenge"

ANDREAS SOLARO via Getty Images
ANDREAS SOLARO via Getty Images 

“C’è un raccordo diretto tra la pandemia e i suicidi”. Con queste parole Federico Tonioni - psichiatra e psicoterapeuta, direttore del Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da Web presso la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma - commenta i recenti dati dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma secondo cui i tentativi di suicidio e autolesionismo sono aumentati del 30%.

Il docente universitario sottolinea in particolare come sia stata la seconda ondata della pandemia a rappresentare un problema maggiore rispetto alla prima fase. Infatti ora, oltre gli anziani, anche i “giovani sono un categoria a rischio”. Secondo Federico Tonioni, durante i periodi di lockdown, è la noia a rappresentare una minaccia per i più piccoli. E sul caso della bambina palermitana che rischia la vita a causa di una challenge su Tik Tok, il docente spiega come “le sfide non sono pericolose di per sé. Il pericolo risiede nella bassa autostima”.

In che modo si possono mettere in relazione i dati su suicidi e autolesionismo nei giovani con la pandemia?

“C’è un raccordo diretto tra la pandemia e i suicidi. Le relazioni fondano l’identità di bambini e adolescenti, la mente dei bimbi è come la creta fusa. Il Covid-19 ha traumatizzato noi adulti soprattutto durante la seconda ondata. Dal punto di vista clinico ho visto difese forti durante la prima fase ma la situazione di molti ragazzi si è aggravata per la mancanza di relazioni in questa seconda ondata pandemica. La pandemia perdura e condiziona il vissuto dei ragazzi. I giovani sono in difficoltà e i bambini hanno pochi strumenti per dimostrarlo. Invito tutti, in materia di suicidio, a non fare allarmismi perché le fantasie suicidarie fanno parte del pensiero umano”.

In che modo il Covid-19 ha aggravato questa la situazione?

“Chi aveva già una disarmonia sociale è peggiorato ma l’effetto più franco è avvenuto sui ragazzi cosiddetti “sani” che facevano il mestiere dell’adolescente. Tutti noi vorremo i figli a nostra immagine e somiglianza ma questa è una disgrazia perché sarebbe un castello di sabbia. I ragazzi per fondare la propria identità devono prendere una distanza dai genitori”.

Molti giovani, durante il lockdown, hanno cercato spazio online.

“Grazie a internet, e non a causa di internet, i giovani possono realizzare le uniche relazioni possibili in questo periodo. Il disagio principale causato dal coronavirus l’hanno vissuto gli adulti”.

Si spieghi.

“I figli, quando nascono, separano la coppia e la famiglia diventa un triangolo. Quando il figlio adolescente lascia i genitori, questi ultimi si ritrovano a stare insieme di nuovo come coppia. Con il lockdown la famiglia è tornata a stare insieme in casa, questo non è stato facile. Alcuni genitori scaricano i problemi sui figli che stanno al computer ma io credo che sia un bene la presenza della tecnologia. La didattica a distanza, se fatta in modo adeguato, è un bene. Anche noi docenti abbiamo avuto delle difficoltà. Il Covid-19 ha sicuramente aggravato tante situazioni. Bisogna tutelare gli anziani e le categorie a rischio ma anche i giovani sono ora una categoria a rischio. Non dobbiamo trasformare la cura in una malattia ancora più grave perché i ragazzi sono davvero in difficoltà”. 

A Palermo una bambina di soli dieci anni ha avuto un arresto cardiocircolatorio dovuto a un’asfissia prolungata durante una challenge su Tik Tok. Anche in questo caso la pandemia ha aumentato la possibilità dei bambini di essere vittime di queste sfide estreme? 

“Non credo che questa bambina abbia tentato il suicidio. Le challenge sono delle sfide e il problema risiede nella bassa autostima che hanno alcuni bambini. Un bimbo che attraverso arriva non respirare più è un bimbo fondamentalmente solo. Queste sfide vengono prese come un’occasione per sentirsi bravi e capaci. I bimbi corrono dei rischi inconsapevolmente ed è per questo che bisogna stare attenti. Tutti i bambini sanno cosa è una challenge e solo alcuni conseguono esiti drammatici. Questi bambini non vedono più il limite e il confine ma queste sfide non fanno sempre male. Faremo a meno volentieri di alcune challenge come quella di Blue Whale. Alla base di queste sfide c’è un problema di stima e quindi la challenge diventa autolesiva. I bambini non le vivono come un pericolo”.

Jonathan Galindo, e gli eventuali emulatori, rappresentano un minaccia maggiore durante questa pandemia?

“Io credo che si sia una relazione diretta tra Jonathan Galindo e il lockdown. I bimbi si annoiano e la noia, insieme alla rabbia, portano alla psicopatologia. Un bimbo che si annoia è un bimbo che si ammala. Ci sono sempre motivi affettivi in questi casi. Non è il computer che entra nella testa del bambino per costringerlo a uccidersi. Il lockdown ha aggravato il rischio ma il motivo non è il tempo trascorso al computer o con lo smartphone”. 

Qual è il consiglio che si sente di dare ai genitori per gestire al meglio la seconda ondata della pandemia tra le mura domestiche?

“I genitori sono più preoccupati dei figli e i bambini assorbono l’inconscio degli adulti. Se una mamma è ipocondriaca allora il figlio non è tranquillo. Uscire di casa, per alcune persone, è come andare in guerra. Dobbiamo stare attenti noi adulti e non eccedere nella paranoia e nelle ossessioni che sono lesive. Ho sentito di mamme che lavavano il prosciutto per disinfettarlo dal Covid-19. Se un bimbo vede una scena del genere assorbe l’ansia del genitore. Bisogna rassicurare i bambini e aumentare le occasioni di gioco in casa. In una casa dove si ride tanto i bambini si ammalano di meno”.

Quali sono i campanelli d’allarme che un genitore può captare?

“La prima cosa è la solitudine. I cosiddetti “bambini buoni” che non creano mai problemi sono quelli che hanno più difficoltà. Questi bimbi si consolano con un bel voto a scuola ma preferirebbero fare altro. Un bimbo deve essere libero e non fare fatica. Questa storia che la fatica fa crescere non è più valida. L’apprendimento deve essere gratificante e divertente. Io mi occupo di ragazzi che vanno male a scuola ma sanno tutto sul Rinascimento grazie ad “Assassin’s Creed”. Se fosse per me, la scuola si farebbe tutta con tablet e visori immersivi e senza zaini che pesano venti chilogrammi. Questa sarebbe la scuola digitale? A me viene da ridere”.

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